Recensione: “Io, Romeo e Giulietta”, di Rebecca Serle

Marzo per me è stato il mese dei retellings. Ne ho letti un sacco, sia per l’uni che per puro piacere (uno, su tutti, che ho adorato: Il mio splendido migliore amico, di A.G. Howard), e aggiornando la sezione delle recensioni mi son resa conto che ancora non avevo pubblicato questa…! Ve la lascio al volo prima di scappare a lezione e a sopportare un pomeriggio carico di filosofia illuminista a non finire. Mandatemi pensieri positivi, ne ho bisogno!

io,romeo&giulietta_giro2Titolo: Io, Romeo e Giulietta
Titolo originale: When you were mine
Autrice: Rebecca Serle
Traduttrice: Claudia Lionetti
Editore: De Agostini
Anno: 2015
Pagine: 320

Rosie e Rob sono innamorati. Profondamente innamorati. O almeno così sembra fino al giorno in cui arriva in città la cugina di lei, Juliet. Bella, spregiudicata e volitiva, Juliet cova nei confronti di Rosie un vecchio rancore. Decide così di portarle via Rob e ben presto ci riesce. È la sera del ballo della scuola, e Rob cade ai piedi di Juliet come per incanto. Come se fosse destinato a lei da sempre. Ma per i due sventurati amanti ci potrà mai essere un lieto fine?

Nessuno si ricorda mai di Rosaline. Non gli appassionati di Shakespeare, non chi cita Romeo e Giulietta come grande amore romantico. Come potrebbero, d’altronde? In scena non appare mai, è più il fantasma di una cotta adolescenziale che l’amore fatto di carne ed ossa che Romeo troverà in Giulietta, quindi perché interessarsi? Di lei poco si sa e quelle scarse informazioni certo non la rendono simpatica, dopotutto. Tuttavia, la risposta ce l’ha dà la Serle ed è molto semplice: Rosaline ha qualcosa da dire, anzi, da raccontare, precisamente, la sua versione dei fatti, quella che nessuno si è mai curato di indagare, lasciandola nell’angolo a fare i conti in solitudine col suo cuore spezzato e i cocci di un amore che non sarà mai corrisposto. Perché mettersi di mezzo a una storia che, seppur avversata dalle stelle, è destinata ad essere non è mai una buona scelta e Rosaline dovrà impararlo sulla propria pelle. In un modo per niente bello, se contiamo che, proprio quando lei e il migliore amico Rob decidono di farsi coraggio e darsi una possibilità come coppia – vivendo un primo amore esattamente come questo dovrebbe essere: dolce, stucchevole talvolta, fatto di tentativi e incertezze ma anche voglia di lasciarsi andare e mettere in gioco -, ecco che il ritorno sulla scena, è proprio il caso di dirlo, della cugina mette tutto in crisi: Juliet infatti è la novità della scuola, cattura giustamente l’attenzione di chiunque, compreso Rob. L’incanto si rompe la sera del ballo, quando la chimica o semplicemente il destino si mettono di traverso e portano via dalle dita di Rosaline il futuro che vedeva spianato di fronte a sé. E facendola diventare, finalmente, ai miei occhi, un personaggio a tutto tondo e non più l’immagine sfocata di una ragazzina senza spina dorsale che si affida ciecamente alle amiche e non ha una personalità definita. È qui che il libro ha davvero inizio, qui che la Serle ha cominciato a convincermi, innovando un testo che di riscritture ne ha viste a bizzeffe nei secoli e donandogli una luce nuova, un punto di vista differente che fa rivalutare i personaggi coinvolti. Dialogando con una leggerezza con qualcosa che di leggero ha relativamente poco, inserendo nuovi personaggi che ben si amalgamano sul palcoscenico e tratteggiando quelli pre-esistenti con nuove caratteristiche. Ridandogli vita, ma una totalmente indipendente dalla matrice. Cosa che non è per niente semplice e i precedenti tentativi di questo tipo possono testimoniarlo: Shakespeare è una rogna perché divinità che si ha paura di contaminare, di imbruttire né saper controllare; ma qui il tentativo riesce, alla grande, e non è cosa da poco.

«Dico solo che è una questione importante, non credo si possa sistemare facilmente.»
«Già. Lo so. Ma secondo me non succederà, lui ci tiene troppo.» Se ripenso a mia cugina nell’auditorium, così piccola e indifesa, non riesco a non essere dispiaciuta per lei. Non ha un’amica con cui confidarsi, sono stati solo loro due fin dal suo arrivo.
«Comunque sia, potrebbe. E poi?»
«Sì, be’, e a Natale potrebbe nevicare, ma non mi pare di vedere nessuno che corre a comprarsi una slitta.»
Svoltiamo nel vialetto di casa e Charlie spegne il motore. Si abbandona contro lo schienale, ma continua a guardare dritto davanti a sé. «Forse. Boh, non lo so. È solo che sembra che tutto stia cambiando.» Sospira e si gira verso di me. «Non ti capita mai di sentirti come se un minuto prima hai capito tutto e quello dopo ti accorgi di aver sbagliato, e di brutto, su tutta la linea?»

Non mi piaceva, Rosaline, all’inizio: nascosta dietro le spalle e il carattere estroverso delle amiche, lasciava che la vita le capitasse come un accidente del caso, non reagendo mai a ciò che le sbatteva contro. Alzava le spalle, piagnucolava magari per qualche attimo con le amiche ma mai alzava la voce, mai si opponeva e combatteva per quel che voleva. Difficile capirla, difficile provar empatia. Almeno finché non arriva Juliet, Rob si allontana e si trova a dover fare i conti con una vita senza quello che ne era il perno centrale. Da ragazza dell’ultimo anno di liceo, popolare perché amica di due ragazze che brillano di luce propria in maniera così forte da illuminare anche lei che non è che il prototipo di un’adolescente perfettamente normale, Rose lentamente muove i passi verso una consapevolezza di sé, imparando a prender coscienza del mondo che la circonda, di tutto ciò che è oltre Rob e che non ha mai osservato, troppo presa da lui. Fino a scoprire che c’è vita, dopo di lui. Il problema sta nel decidere se vale la pena provare a viverla o accontentarsi di ciò che si è sempre conosciuto. Lottare per Rob con Juliet o seguire quel brivido che le corre lungo la schiena non appena si avvicina Len? Vivere nelle certezza che dà il passato o prender coraggio e lanciarsi nel vuoto?
Sono personaggi ben riusciti, si capisce, freschi nel loro essere semplici adolescenti che affrontano, dopotutto, qualcosa di normale, in cui riconoscersi viene automatico – i primi amori, le delusioni, la paura del cambiamento – e che solo superficialmente decidono di mostrarsi stereotipati, invitando a osservarli meglio. Perché Charlie non è solo la ragazza superficiale che vuol far credere, né Len è solo quello etichettato come il disadattato della scuola, così come Juliet ha molto più da mostrare che semplicemente una natura da mean girl. È, dopotutto, un cast corale degno di una tragicommedia com’è quella shakesperiana, che riempie la narrazione di dialoghi serrati e divertenti ma al contempo sa toccare corde profonde e spingere a riflettere su dilemmi universali ai quali è complicato dar una risposta definitiva.

«Mi dispiace. Per favore, mettiti nei miei panni. È complicato.»
Vorrei fargli capire quanto sono davvero dispiaciuta. Spiegargli che Rob è come una forza, un’energia da cui non riesco ad allontanarmi. Spiegargli che sono confusa, soprattutto adesso. Che so da sempre che nel mio destino cè Rob eppure stare qui con lui mi fa venire voglia di non pensarci, di dimenticarlo, di dare un bel taglio al passato. Il problema è che non so come fare.
«No che non lo è.» Inspira e mi fissa. Ha due lame al posto degli occhi. «Le cose stanno così: io ci tengo a te. Da sempre. Io ti vedo, vedo come sei davvero. Una ragazza splendida, intelligente, bellissima, piena di talento e che si preoccupa un pò troppo di quello che pensano gli altri. Non mi hai mai considerato, poi quest’anno è successo il miracolo e ti sei accorta che esisto. E lo sai perché? Perché per un dannatissimo minuto hai smesso di pensare a Rob.» Socchiude gli occhi, ma continua. Parla con tono alto, deciso, ma non arrabbiato. «Io sono una persona paziente. Ti aspetto credo da un’eternità. Ma non intendo restarmene qui a guardare mentre scegli di nuovo la persona sbagliata. Quindi, cara Rosaline, come vedi, non c’è proprio niente di complicato. Anzi, se ci rifletti bene, non potrebbe essere più semplice di così.»

 

Dividendo la narrazione in atti, suddivisi a loro volta in scene, la Serle solo superficialmente si affida a Shakespeare: manipola il testo, lo plasma a suo piacimento fino a renderlo quasi indipendente, una copia che copia non è e che non sbiadisce nel paragone perché dotata di qualcosa di diverso da insegnare e di cui discutere, che coraggiosamente, anzi, se ne allontana e non finisce per rimanerne schiacciato. Un po’ come Rose, in fondo, che lentamente prende in mano le redini della sua esistenza, l’autrice fa partire in sordina la narrazione per poi lasciarle campo aperto, libera di infiltrarsi sottopelle  e ottenere di diritto un posticino che, in fondo, si è ben contenti di lasciarle avere. Niente è scontato, niente è prepotente, non lasciatevi spaventare dall’etichetta di retelling. Tutto è gestito in maniera così naturale e innovativo, che il paragone vi durerà in testa qualche attimo, prima che fili via col crescere dell’amore incondizionato per questa banda di ragazzini adorabili.

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Un pensiero su “Recensione: “Io, Romeo e Giulietta”, di Rebecca Serle

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